A parità di prezzo, qualità diversa. La comparazione ha come soggetti da una parte lo champagne, in questo caso etichette "entry level" ovvero prodotti base (che, per lo champagne, possono prevedere assemblaggi di vini anche di vecchie annate), e dall'altra bollicine da Metodo Classico italiane (siano esse Franciacorta, Trentodoc, Oltrepo' Pavese o Alta Langa che dir si voglia), che al prezzo degli champagne base di cui prima, ovvero sui 30/35 euro, ci compri delle buone riserve, anche pas dose'. Ecco allora che la comparazione tra prodotti diversi ma dallo stesso prezzo ha ragion d'essere, se vogliamo produrci in una discussione che ha come tema trainante la qualità del vino in rapporto al prezzo. Perché se è indubbio che lo champagne ha sempre il suo fascino ed una qualità mediamente buona anche se parliamo di etichette tirate in centinaia di migliaia di bottiglie, va da sè che con gli stessi soldi puoi liberare i tuoi desideri acquistando bottiglie italiane con una qualità media di molto superiore alle bollicine francesi. A patto, ovvio, di conoscere bene i prodotti che si acquistano. Detto in soldoni, se in un'ipotetica enoteca dovessi trovarmi di fronte a due scaffali dove in quello di destra ci sono bottiglie di Pommery, G.H.Mumm, Piper o quanti altri, ed in quello di sinistra bottiglie di Haderburg pas dose', Barone Pizzini Naturae, Arici Colline della Stella Zero Nero, Trentodoc Letrari Riserva e tantissime altre etichette Metodo Classico italiano, beh!, la mia scelta non potrebbe che ricadere su una bollicina made in Italy.
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Passate le feste, è tempo di primi bilanci su cosa di buono si è bevuto a Natale, ma ancor di più (e meglio) a Capodanno.
E’ risaputo che il periodo natalizio è quello più gettonato per stappare qualche buona “bollicina”, anche se mai come in questi ultimi tempi gli spumanti hanno avuto un incremento di vendite durante tutto l’anno. Poi sulla qualità di quello che si stappa e si beve ci si potrebbe dilungare molto. Basti pensare all’incremento, che sembra inarrestabile, di vendita del prosecco. Io però, per ciò che concerne le bollicine, mi soffermerò principalmente sugli spumanti Metodo Classico (anche perché non ho assaggiato altre tipologie), oltre a qualche vino “fermo” o tappo raso che dir si voglia, di cui mi occuperò più avanti. Inizio dal top, ovvero da un Dom Perignon 2009, champagne che nell’immaginario collettivo è considerato un vino cult e tra i migliori al mondo. Devo dire che ogni volta che mi sono trovato, insieme ad amici, a stappare una bottiglia di champagne di qualche maison di grido ed ovviamente dal costo elevato, ne è (quasi) sempre seguita una certa delusione di fondo rispetto alla qualità immaginata. Non è stato così questa volta. Usuale il blend quasi paritario tra chardonnay 51% e pinot nero 49%, dal colore giallo paglierino con perlage fine e persistente (si dice così, no?), al naso esprime note floreali con rimandi tostati, lasciando un finale agrumato. All’assaggio questo 2009, ad opera del miglior chef de cave del mondo, Richard Geoffroy, si presenta profondo e materico, complesso ma equilibrato, lasciando trasparire tutta la sua eleganza. Insomma un gran bel vino, se non fosse che per portarselo a casa non bastano 120 euro. Forse un po’ troppi per una bottiglia di vino da 0,75 lt. Secondo champagne degustato il 31 dicembre, un Perrier Jouet Grand Brut, etichetta base della maison, da uve pinot noir 40%, pinot meunier 40%, chardonnay 20%. Delicato al naso, l’assaggio è però troppo orientato verso una spiccata acidità di fondo che ne fa un vino particolare, non adatto a tutti i palati. Sui 35 euro in enoteca. E passiamo alle bolle italiane, un gran bel bere: dalla cantina Ferrari (di gran lunga la migliore di tutto lo stivale), con i suoi TrentoDoc Perlè Nero (intorno ai 50 euro il costo) – oramai un must per quanti prediligono il pinot nero spumantizzato in purezza – in questo caso annata 2009, e Perlé Zero 2010, una cuvèe composta da uve 100% chardonnay delle annate 2006-2008-2009, “tirato” a dosaggio zero ovvero senza zuccheri aggiunti, che riposa ben 72 mesi sui lieviti. Un vino che rappresenta l’ennesimo capolavoro di Ferrari. Il prezzo? Alto, ovvero come il Perlé Nero. Altro Dosage Zero (e altro grande vino), il Ca’ del Bosco Vintage Collection 2013, un blend di chardonnay (60%), pinot nero (17%) e pinot bianco (23%) che sosta 48 mesi sui lieviti. Profumo di pane appena sfornato, buona struttura, corposo ma di una eleganza estrema, molto fine. Una garanzia di qualità. Altro giro altra corsa: il Bagnadore 2009 di Barone Pizzini. Un non dosato riserva, con le uve provenienti da un’unica vigna (in Francia si direbbe un “cru”) di oltre vent’anni. Vinificazione in barrique ed affinato sui lieviti per ben 60 mesi, Il Bagnadore sprigiona eleganti profumi di frutta, agrumi e crosta di pane, che ben si integrano con un gusto secco, sapido e minerale, ampio e succoso. Ed ho finito con gli aggettivi. 35 euro ben spesi. Ultimo vino assaggiato il 31 dicembre, un pas dosé della cantina altoatesina Haderburg, un millesimato di grande eleganza, vivacità e ricchezza aromatica. Dopo una maturazione sui lieviti di 36 mesi esprime note di frutta, agrumi, burro e pane tostato. Il sorso è strutturato, rinfrescante e piacevolmente sapido, ricco di aromi fruttati. Anche questo, ça va sans dire, un gran bel vino che ti porti a casa dall’enoteca a nemmeno 30 euro (alla faccia di tanti champagne base dall’identico costo). L’augurio che mi faccio è di proseguire, in questo 2018 appena agli inizi, con degustazioni qualitativamente elevate anche nel corso dell’anno e non per forza di cose spendendo cifre così alte. Ci posso riuscire, ci riuscirò. Fidatevi. |
PIERO LUCIANIGiornalista pubblicista appassionato di vini, in particolare bollicine. Amo bere bene in compagnia possibilmente al cospetto di una buona tavola. Archivi
Maggio 2023
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