Oltre 500 biglietti venduti solo in prevendita, sessantadue vignaioli presenti con una referenza complessiva di oltre 300 vini. Pubblico delle grandi occasioni – soprattutto giovane e molto interessato -, quello che si è dato appuntamento sabato 6 maggio scorso presso il complesso ex convento di San Francesco ad Offida, per la seconda edizione del “Sabato del Vignaiolo”, la giornata pensata dalla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti per raccontare al pubblico e agli appassionati le realtà territoriali dei propri soci. Per le Marche la scelta è caduta su Offida e, a ragion veduta, mai scelta fu più azzeccata. Fin dal mattino (la manifestazione è andata avanti per tutta la giornata, dalle 10,30 alle 19), stuoli di persone hanno iniziato ad affollare il padiglione dell’ex convento, dove erano posizionati i banchi di assaggio delle varie cantine delle Marche aderenti alla FiVi. Passerina, Pecorino, Verdicchio (spumantizzato e fermo), Ribona (meglio conosciuto come Maceratino) tra i bianchi, Montepulciano (nella versione Offida Rosso per il Piceno e Rosso Conero per l’Anconetano), Sangiovese e Bordo’ (antico vitigno riconducibile alla Grenache riscoperto da alcuni anni), vino quest’ultimo su cui si cimentano sempre più vignaioli Piceni. Ma anche vini da vitigni internazionali: Pinot Nero, Cabernet Sauvignon e Syrah su tutti. Questi i vini che i tantissimi appassionati hanno potuto assaggiare nel corso della kermesse, discutendone con gli stessi produttori (quando la calca lo permetteva). Un’edizione dunque che va in archivio con il segno positivo, nonostante qualche piccola, inevitabile “sbavatura” organizzativa (ad esempio sul servizio ristorazione all’interno del complesso, ma ci rendiamo conto che non era facile preventivare un così massiccio afflusso di gente). Soddisfatti i produttori, soddisfatti anche avventori ed appassionati che hanno potuto degustare vini a volte non solo difficili da reperire ma anche dal costo elevato, come ad esempio i tanti Bordò che facevano capolino tra i banchi delle cantine Picene, capitanate da sempre più giovani vignaioli che portano in dote voglia di fare (bene), curiosità, verve e coraggio a sperimentare. Un bell’auspicio di questi tempi.
Passando agli assaggi, e correndo il rischio di dimenticarne alcuni, siamo rimasti favorevolmente colpiti dall’alta qualità media riscontrata, anche dai vini base o altrimenti detti “entry level” se vogliamo darci un contegno internazionale. Ottimo lo spumante metodo classico “Ousia” della cantina Socci, un pas dosè da uve verdicchio che sosta 30 mesi sui lieviti, così come molto buono anche il loro Marika, un verdicchio classico superiore; sempre buonissimi i verdicchi Capovolto e Passolento de La Marca di San Michele, al pari di quelli di Fattoria Nanni’ (dall’ottimo rapporto qualità/prezzo) che sfodera anche un’ottima Ribona. Buono il verdicchio di punta - Sciocchina il nome - dell’azienda Albamocco, così come la riserva di verdicchio di Matelica di Casa Lucciola. Sempre al top, poi, il Fiobbo Pecorino di Aurora, il Mida Pecorino sia fermo che spumantizzato (metodo classico, 24 mesi sui lieviti) della cantina castoranese Allevi Maria Letizia, il Marke Pecorino macerato di Clara Marcelli, i Pecorini Donna Orgilla e Giulia Erminia di Agricola Fiorano, l’Alta Lama Pecorino ultimo nato in casa Pantaleone, il Lefric Marche Bianco di Vigneti Vallorani. Degni di menzione anche due altri Metodo Classico: il pas dosè da uve verdicchio di Liana Peruzzi e Le Tempo, un 24 mesi da uve Pecorino dell’azienda Cossignani. Passando ai rossi, molto interessanti i vini di Clara Marcelli: dall’inossidabile K’Un da uve Montepulciano, al Ruggine Bordò alla novità Batatè, un Marche Rosso Igt da uve Syrah; molto validi anche i rossi di Fiorano, ovvero il Ser Balduzio Marche Rosso Igt da uve Montepulciano ed il Gallo Otto Igt (in collaborazione con Elio, di Elio e le Storie Tese) da uve Syrah in prevalenza ed affinato in anfora. Molto interessante il Pinot Nero dell’azienda Capacchioli Tattini che in quel di Cupi di Visso, a circa mille metri d’altezza, riesce a produrre vini di caratura come questo, molto fine ed elegante. Altro Syrah che ha trovato posto nella nostra agenda, quello di Terra Argillosa. Per chiudere la batteria dei rossi Piceni, non si può infine non menzionare il Konè di Vigneti Vallorani, un Piceno Superiore Dop da uve Montepulciano e Sangiovese. Capitolo a parte i Bordò, con il già citato Ruggine di Clara Marcelli, ma anche il Red di Cameli Irene, Ribalta di Pantaleone, Michelangelo di Dianetti, Isra di Allevi Maria letizia, Bordò di Poderi San Lazzaro: tutti vini degni di nota, eleganti e ben fatti ed il cui unico “difetto”, come abbiamo accennato all’inizio, è che costicchiano e quindi non sono per tutte le tasche. Molto buoni anche i Rosso Conero assaggiati, due su tutti: il sempreverde Dorico di Moroder ed il Grigiano riserva di Malacari, che ci ha deliziato anche con un 2006 semplicemente strepitoso. Per ultimo abbiamo lasciato un vino che ha fatto la storia dell’azienda e non solo, ovvero l’Akronte di Boccadigabbia, un Cabernet Sauvignon potente e sontuoso ma allo stesso tempo morbido ed aggraziato. Un vero campione di razza. Arrivederci al prossimo anno, anche se molte delle cantine presenti ad Offida ed aderenti alla FiVi, le ritroveremo presto, ovvero i prossimi 4 e 5 giugno ad Offagna, dove nella splendida cornice di Villa Malacari si terrà la seconda edizione della “Festa di Campagna” di Terroir Marche, nel decennale dalla fondazione del Consorzio di vignaioli marchigiani.
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Sagrantino in (ottima) salute, con l’annata 2019 che torna dopo tre anni a fregiarsi delle “cinque stelle” e 95/100, ovvero annata ritenuta eccezionale e valutata con il massimo riconoscimento in termini qualitativi; Trebbiano Spoletino oramai lanciato verso l’Olimpo dei vini bianchi; Grechetto che denota un po' di appannamento, dando l’impressione di essersi seduto sugli allori che furono. Questa la fotografia appena scattata che arriva da “Anteprima Sagrantino 2019”, iniziativa a cura del Consorzio Tutela Vini Montefalco tenutasi nella città umbra il 19 e 20 aprile scorsi, e che da quest’anno cambia il suo concept e diventa “A MONTEFALCO”. Nuovo naming che racchiude il senso di quello che oggi questo territorio vuole raccontare in termini di sviluppo economico, culturale e sociale dove tutto ancora ruota intorno al vino ed al suo vitigno principe ma che ora si vuole usare come volano e leva di sviluppo di un territorio che ha anche altre peculiarità. “Montefalco è terra per il vino – fanno sapere infatti dal Consorzio -, non è più solo Sagrantino e non è più solo un’Anteprima. Si interpreta così l’idea di un moto a luogo, guidati da una “A”, la prima lettera dell’alfabeto che è un po’ un ritorno alle origini, ma che indica anche il desiderio di scrivere nuove pagine, ripartire, iniziare a raccontare una storia nuova. Un format rinnovato e che vuole essere sempre più aderente alle esigenze di un settore che sta fortemente cambiando pelle, regole e direzione”. Del resto, è indubbio che Montefalco ma anche Bevagna, Gualdo Cattaneo, Castel Ritaldi e Giano dell’Umbria debbono molto se non tutto al binomio vino-turismo, dove però all’equazione vino=Sagrantino da qualche anno si è aggiunto il Trebbiano Spoletino, vitigno sul quale diversi operatori e vignaioli - 72 le cantine consorziate - puntano molto e dal quale stanno già ricevendo belle soddisfazioni di mercato. A livello generale, nei 24 campioni di Montefalco Sagrantino Docg 2019 in degustazione - sempre pochi (anche se finalmente si è dato uno stop ai “campioni di botte”), segno evidente di un vino che ha bisogno di più tempo per esprimersi al meglio - si è potuto riscontrare ancora una volta il trend intrapreso ormai da oltre un decennio, indirizzato alla ricerca di eleganza, sottrazione e bevibilità. Ma torniamo alla due giorni di degustazioni, senza prima aver detto che quest’anno a vincere il Gran Premio del Sagrantino 2023, concorso nazionale per sommelier promosso dall’AIS, è stato Andrea Gualdoni della Delegazione AIS Cremona-Lodi e sommelier del ristorante “Da Vittorio” di Brusaporto (Bergamo) dei fratelli Cerea, seguito da Michele Manca – Delegazione AIS Rovigo e Daniel Tamburri – Delegazione AIS Isernia. A premiare Gualdoni il presidente nazionale AIS Sandro Camilli e il presidente regionale AIS Umbria, Pietro Marchi.
Note di degustazione Nella sempre splendida cornice della sala consiliare di Palazzo Comunale, impreziosita da raffinate decorazioni ottocentesche, sotto l’abile regia di uno stuolo di sommelier AIS ed al cospetto di una “carta dei vini” forte di oltre 150 referenze – forse troppe, anzi decisamente troppe per un’ora e mezza a disposizione -, abbiamo avuto modo di degustare il meglio della produzione dell’intero Distretto vitivinicolo di Montefalco. Di seguito, i vini che ci hanno maggiormente colpito ed entusiasmato, consci del fatto che su questa materia ogni giudizio è sempre opinabile. Ad iniziare dai grechetti, ad impressionarci favorevolmente è stato il grechetto 2022 di Antonelli: colore giallo paglierino carico. All’olfatto risulta fresco, fruttato e floreale con note agrumate. Al palato denota una buona struttura e gradevole freschezza. Buoni anche i grechetti Clarignano 2022 di Colle Ciocco (con saldo di Viogner) dal naso intenso e fruttato e con una bocca fresca e sapida nella sua morbidezza, e quello della cantina Dionigi. Tra i Trebbiani Spoletini, dai profumi di erbe aromatiche e note retro olfattive agrumate unite ad una spiccata freschezza e sapidità, sugli scudi quelli di Bocale, Perticaia, Antonelli, Ilaria Cocco, Colle Ciocco, Romanelli. Molto buono anche il Trebbiano Spoletino Superiore 2020 de Le Cimate. Passando ai Montefalco Rosso e Rosso Riserva, sulla memoria del nostro taccuino sono rimasti impressi in particolar modo il Boccatone 2018 (60% Sangiovese, 15% Sagrantino e 25% Barbera) di Tabarrini e Molinetta 2018 (80% Sangiovese, 20% Sagrantino) di Romanelli. Ultimi ma non certo ultimi, i Montefalco Sagrantino Docg. Su tutti (o almeno su quelli che abbiamo degustato, perché confessiamo di non averli provati tutti anche per i motivi espressi sopra): Vitruvio 2016 di Briziarelli, Phonsano 2016 di Ilaria Cocco, Collenottolo 2016 (forse uno dei migliori) di Tenuta Bellafonte, Terra Cupa 2017 di Romanelli, Colle Grimaldesco 2018 di Tabarrini ed infine i due sagrantini di Caprai: Collepiano e Valdimaggio (più il secondo del primo), entrambi annata 2019. Fantastica anche la versione 2019 (uscita a tre anni dalla 2016, ultima annata prodotta) del Medeo, cavallo di razza di Romanelli, degustato direttamente in cantina e che, ça va sans dire, darà il meglio di sé tra qualche anno. Insomma, un’Anteprima Sagrantino 2019 che va in archivio con molte luci e poche ombre, preludio ad un futuro ancora più roseo per il Sagrantino, per Montefalco e per chi ama il buon bere a prezzi (ancora) sostenibili. Metti un fine settimana in periodo feriale; metti una voglia di staccare la spina ed andare alla ricerca di bei posti ove trascorrere qualche ora in serenità; metti la curiosità di andare alla ricerca di nuove cantine per scoprire vini ancora poco conosciuti al grande pubblico…et voilà, eccoci in Alta Tuscia viterbese, terra di calanchi e laghi vulcanici a confine tra Lazio, Umbria e Toscana. Un sabato e una domenica alla scoperta di nuovi produttori e a caccia di conferme per altri già affermati. Iniziamo da un produttore che non ha oramai più bisogno di presentazioni, quel Sergio Mottura “re” del Grechetto in quel di Civitella d’Agliano, e della sua (vecchia) cantina tutta scavata nel tufo sotto piazza Unità d’Italia. Mentre ci rinfreschiamo in cantina dopo aver lasciato fuori dalla porta i 38 gradi di questa estate caldissima e siccitosa, la degustazione ha inizio con uno dei cavalli di battaglia di casa Mottura, ovvero il Metodo Classico brut Nature millesimato. Da uve 100% chardonnay, versato nel bicchiere sprigiona subito tutta la sua vitalità fatta di bollicine fitte e persistenti, dopo aver trascorso ben nove anni a riposare, a temperatura costante di undici gradi, nelle pupitre che si snodano nel dedalo di cunicoli sotto piazza Unità d’Italia. Di un colore giallo paglierino con riflessi dorati, vivacizzato da un fine perlage, al naso presenta profumi di frutta gialla, uniti a sentori di erbe aromatiche e toni di crema pasticcera. In bocca l’assaggio evidenzia un’intensa corposità, mineralità e persistente finale dalle sensazioni agrumate, il tutto ben bilanciato da una nitida freschezza, impensabile dopo ben nove anni lasciato a maturare sui propri lieviti. Chapeau! Secondo vino degustato, il Tragugnano 2021, un Orvieto Classico formato da un blend di uve Grechetto e Procanico al 50%. Un vino semplice (ma fino ad un certo punto), dal gusto secco e morbido, accompagnato da una buona vena aromatica. Un vino ideale da accompagnamento per un buon aperitivo – e anche oltre, se il pasto non è troppo impegnativo. E veniamo al Grechetto, o meglio: ai Grechetti. Ben quattro quelli degustati, ad iniziare dall’ultima annata, la 2021, di Poggio della Costa. Un vino che non ha bisogno di presentazioni, oramai assurto agli onori dell’enologia nazionale: un vino minerale, elegante, ammandorlato e con un finale molto incisivo. A seguire l’annata 2015 dello stesso vino (non in commercio), tirato fuori dalle riserve di famiglia: stessi toni minerali, dall’elegante corposità e con un finale lunghissimo. Da berne a secchiate. Ottimo anche il Latour a Civitella 2020, seconda tipologia di Grechetto prodotta dalla cantina laziale, fermentato in legno (assolutamente non invasivo), che si apre con una ventata olfattiva di frutta bianca, burro e nocciola. In bocca si rivela morbido nella sua complessità, fresco e sapido con un finale molto lungo ove a dominare è la vaniglia. A seguire, lo stesso vino da annata 2015: senza parole. O meglio, le stesse della 2020 elevate all’ennesima potenza. Due i rossi degustati, tra cui un Nenfro 2015 da uve 100% Montepulciano, che qui prende il nome di Violone; un vino capace di coniugare potenza e virilità all’eleganza, in una perfetta fusione di sapori e odori. Ultime parole da spendere per congedarmi dalla cantina per il Magone 2019, da uve Pinot Nero, altro cavallo di razza di Sergio Mottura. Dal colore rosso rubino intenso, sprigiona un profumo che riempie le narici, fatto di piccoli frutti rossi alternati a sentori più speziati. Al palato offre un buon corpo, con un sorso caloroso ed avvolgente, morbido, contraddistinto da una verve tannica di una certa levatura che lo eleggono, almeno ai miei occhi, a grande vino. Altro giorno, altra degustazione. Questa volta la nostra curiosità ci porta in contrada Vaiano, comune di Castiglione in Teverina, terra ove prosperano alcune tra le cantine più in evidenza dell’intera Tuscia. Sopra ad un assolato colle ci aspetta infatti Maurizio Doganieri, che insieme alla moglie Madoka Miyazaki ha dato vita a quello che è sempre stato il suo desiderio: creare una cantina tutta sua, dopo tanti anni trascorsi, da agronomo, a produrre vino per altri in terra toscana. Solo 42 i filari, esposti a sud-est, ove dimorano ben 25 varietà di uve, che ogni anno producono non più di settemila bottiglie di vino. Al cospetto di una bella tavola apparecchiata sotto il portico di fronte all’aia della casa colonica, e in compagnia di due bei gattoni, la degustazione ha preso il via da uno spumante metodo “ancestrale” (seconda rifermentazione in bottiglia secondo i dettami del metodo classico ma senza sboccatura dei lieviti), il Quattro mani, da uve Greco antico. A seguire Maurizio ci ha fatto assaggiare il suo Vermentino in purezza (Airi il nome, in onore della propria figlia), annata 2021, dal colore giallo tenue e dal naso intenso. Mineralità a go go, floreale, al palato si mostra morbido nella sua fresca sapidità e dal corpo pieno ed equilibrato. Proprio un bel vino.
Seguito dal Fixus, da uve Viogner (vitigno originario della valle del Rodano, in Francia, di cui Maurizio Doganieri è innamorato) in purezza. Di un giallo paglierino leggermente più accentuato dell’Airi, il Fixus 2021 presenta note molto eleganti, fruttate, che via via lasciano il posto a una velata mineralità dal finale ammandorlato. Fermentato in acciaio, questo vino ha le sue particolarità che ne fanno un “unicum” nel panorama vitivinicolo dell’Alta Tuscia. Dopo un intermezzo vivacizzato da un rosato (U il nome dato a questo vino da uve Montepulciano ottenuto da una soffice pressatura e maturato in acciaio), due vini rossi: il Poggio Eremo – blend di Sangiovese, Cesanese del Piglio, Cabernet Sauvignon e Syrah, con maturazione in legno e acciaio -, ed il Confiè, da uve Montepulciano, vino muscoloso e potente, dal colore rosso rubino con riflessi violacei (la cosi detta “unghia”), con la frutta matura (ciliegia, mora) a dominare l’olfatto, seguita da sentori di speziature e note balsamiche di liquirizia e sottobosco, unite a tabacco e cioccolato fondente. In bocca si rivela morbido e con una notevole spalla acida. A chiudere l’Ame, un vino da vendemmia tardiva di Petit Manseng. Degustazioni a latere. Nel corso della due giorni in Alta Tuscia abbiamo avuto modo di assaggiare altri due vini: il G109 annata 2021 di Tenuta La Pazzaglia, un Grechetto in purezza dal colore giallo paglierino e dall’intenso profumo tipico dell’uvaggio, dotato di una buona sapidità e struttura che ne fanno un vino da bere a tutto pasto e a prezzi contenuti (il che, ovviamente, non guasta mai). E l’Agylla 2021, altro Grechetto in purezza affinato in anfora, dell’azienda Paolo e Noemia D’Amico. Un vino dal colore giallo carico e dall’alta alcolicità (i suoi 14,5 gradi si sentono tutti), che ci promettiamo di riassaggiare in futuro per poterne dare un giudizio definitivo. Annata pregevole premiata con 4 stelle dalle due apposite commissioni Quasi cinquanta produttori (degli oltre settanta aderenti al Consorzio tutela Vini Montefalco) per la bellezza di centoquaranta vini, suddivisi tra Montefalco Sagrantino Docg, Montefalco Sagrantino Passito Docg, Montefalco Rosso Doc (anche Riserva), Montefalco Bianco Doc, Montefalco Grechetto Doc, Spoleto Bianco Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino spumante Doc, Spoleto Trebbiano Spoletino Passito. Questi i numeri della tre giorni di “Anteprima Sagrantino 2018”, manifestazione organizzata dal Consorzio Tutela Vini Montefalco, svoltasi nel borgo umbro dal 24 al 26 maggio scorsi. Un’edizione riservata a giornalisti e operatori del settore, che segna il ritorno ad una certa normalità dopo due anni di pandemia, e dove il vino simbolo di Montefalco e dell’Umbria più in generale, il Sagrantino, è stato ben affiancato nelle degustazioni oltre che dall’oramai conclamato Grechetto, da quel Trebbiano Spoletino astro nascente di questo territorio (con la Doc Spoleto riconosciuta nel 2011). Nella stupenda cornice della sala consiliare del Comune di Montefalco, sotto l’attenta regia del Consorzio, si sono dati dunque appuntamento gli attori principali di una storia vitivinicola in grado di dare grosse soddisfazioni a tutto il territorio. Ma veniamo al punto, ovvero l’annata 2018 del Montefalco Sagrantino Docg, non ancora in commercio. Perché se è vero come afferma Alessio Turazza in un suo articolo pubblicato in questi giorni sul sito del Gambero Rosso, che “dei 47 campioni in degustazione, 16 erano prove di botte e 11 in affinamento. Progetti di vino ancora in divenire”, e che quindi forse sarebbe meglio posticipare le prossime edizioni al mese di ottobre o ancora meglio a febbraio del nuovo anno, è altresì vero che il panel di degustazione, ovvero l’apposita Commissione Interna composta dagli enologi del territorio e dalla Commissione Esterna composta ogni anno da giornalisti e operatori di rilievo internazionale (quest’anno a valutare la nuova annata del Montefalco Sagrantino Docg sono stati il giornalista Giancarlo Gariglio e Giampiero Cordero, sommelier del ristorante “Il Centro” di Priocca, una stella Michelin), ha decretato l’annata 2018 “pregevole” dandole un punteggio di 92/100 e premiandola con 4 stelle (delle 5 in totale per ogni annata). Un’annata molto più fresca e senza i picchi calorici della precedente, anche se iniziata con un mese di gennaio mite e poco piovoso. Successivamente c’è stato un leggero ritorno di freddo, durato fino alla metà di marzo, quindi le temperature si sono alzate repentinamente favorendo un germogliamento leggermente anticipato del Sagrantino. Aprile e maggio sono stati mesi piuttosto piovosi che hanno garantito una riserva idrica importante, con temperature leggermente inferiori alla media del periodo. Da giugno a metà agosto le precipitazioni sono state occasionali, senza tuttavia manifestare mai condizioni di calore estreme. A fine estate le temperature si sono abbassate, favorendo una regolare maturazione delle uve, anche grazie a un periodo asciutto e ventilato che si è protratto fino a metà ottobre. In cantina l’annata è stata sostanzialmente regolare e piuttosto classica, almeno considerando la curva climatica che stiamo vivendo, garantendo uno sviluppo vegetativo equilibrato che ha portato a una vendemmia graduale, pienamente soddisfacente e di ottimo livello. Le temperature fresche di fine estate, condite da piogge sporadiche e buona ventilazione, hanno permesso di portare in cantina uve mature e con buoni livelli di acidità. Tutto questo si è tradotto in vini molto equilibrati, senza eccessi aromatici, alcolici né fenolici. I Sagrantino sono a loro modo “classici”: nel solco caratteriale della varietà, mostrano intensità e dinamismo, profondità, ottima finezza tannica e propensione all’invecchiamento. La presentazione dell’annata si è svolta presso il Complesso Museale San Francesco, insieme alla presentazione dei produttori aderenti ad Anteprima Sagrantino 2018. Dopo i saluti del sindaco di Montefalco, Luigi Titta, sono intervenuti il giornalista Giancarlo Gariglio, il presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco, Giampaolo Tabarrini, l'assessore all'agricoltura della Regione Umbria, Roberto Morroni, e la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei. Presente anche Stevie Kim, managing director di Vinitaly International, che ha annunciato la presenza nel mese di novembre a Montefalco degli Ambassador di Vinitaly International Academy. “Abbiamo registrato un clima di grande entusiasmo intorno a questa edizione di Anteprima Sagrantino – è stato il commento del presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco, Giampaolo Tabarrini -. Tante e autorevoli presenze, tanti cambiamenti ma una sostanza che non è certo cambiata: ovvero Montefalco che è sempre la stessa, così come gli attori che sono parte integrante dell’Anteprima. L’Anteprima di quest'anno ci ha regalato un sole meraviglioso che è stato come una luce accesa su questi giorni, per finire con le novità presentate in questa edizione. I feedback finora sono tutti entusiastici e non possiamo che esserne felici”. Semplicemente perfetta in ogni particolare l’organizzazione della manifestazione, per una full immersion di tre giorni in un territorio che, negli anni a venire, sarà in grado di dare grosse soddisfazioni a quanti puntano sul trinomio cultura-turismo-enogastronomia, quale leva atta a ridare slancio all’economia locale. In chiusura non posso non menzionare e ringraziare i tre produttori che abbiamo avuto modo di conoscere presso le proprie cantine, i quali ci hanno fatto assaggiare vini superlativi. Grazie a Paolo Montioni della cantina Montioni, a Lamberto Spacchetti della cantina Colle Ciocco, ed al giovane Devis Romanelli dell’azienda Romanelli Agricola. A Verona anche i ragazzi della Locanda Centimetro Zero con i loro vini, ospiti del proprio mentore, il wine maker internazionale Roberto Cipresso Torna Vinitaly e tornano (subito) le emozioni. Atmosfera da (grande) ripartenza quella respirata in tutti i padiglioni di VeronaFiere, nel corso della 54^ edizione del “Salone dei vini e distillati”, tenutosi nella città scaligera dal 10 al 13 aprile scorsi, dopo due anni di forzato stop dovuto alla ben nota pandemia. Una voglia di ripartire che è sembrata aver contagiato tutti, a dispetto di una situazione ancora non certamente fluida e resa incerta anche dalla guerra russo-ucraina.
Oltre 4.400 gli espositori, arrivati a Verona da ben 19 nazioni, ben 700 i “top buyer” accreditati provenienti da oltre 50 Paesi (nord Americani in particolare, assenti per ovvii motivi i Russi): questi i numeri che, insieme alle migliaia di visitatori che sin da domenica 10 mattina hanno affollato i padiglioni, fanno ben sperare per una nuova stagione dove il vino italiano sia in grado di recitare la parte da protagonista. Un’edizione 2022 che, oltre a mettere in mostra il fior fiore della aziende vitivinicole nazionali, è servita anche per capire l’alto livello qualitativo raggiunto dai nostri vini, siano essi prodotti da viticoltura convenzionale che biologica e biodinamica. Risultati conclamati anche nel corso delle tante degustazioni in calendario, discussi e approfonditi nei diversi dibattiti e master class. Nutrita come sempre la rappresentanza delle aziende vitivinicole marchigiane e picene in particolare, raccolte per lo più nel padiglione numero 7 (sempre il solito), con altre cantine invece collocate nei propri ambiti di riferimento (dalla FiVi, associazione di viticoltori indipendenti, a Vinitaly Bio a Vite). Potrei a questo punto soffermarmi sulle realtà vitivinicole più conosciute, più o meno blasonate, più o meno glamour, che pure ho avuto modo di avvicinare degustando alcuni dei propri vini. Invece no, perché vorrei che trovasse spazio in queste poche righe una realtà molto particolare, che non è ancora un’azienda vitivinicola vera e propria ma che ha tutti i presupposti per diventarlo presto, visto che già i vini li produce. Mi riferisco ai ragazzi della Locanda Centimetro zero di Pagliare del Tronto, presenti quest’anno al Vinitaly con i propri Soqquadro bianco e Soqquadro rosso, in aggiunta all’ultimo arrivato, uno spumante rosè da metodo charmat: vini piceni da uve locali (pecorino, passerina, montepulciano, sangiovese) coltivate in vigneti della vicina collina offidana, e vinificati (per il momento) a Montalcino, presso la cantina di Roberto Cipresso, vignaiuolo molto conosciuto ed uno dei più grandi wine maker del mondo, che con i ragazzi della Locanda – tutti disabili - ha stretto un rapporto di profonda amicizia e collaborazione. Una collaborazione che ha fatto sì che gli stessi ragazzi potessero partecipare al Vinitaly, dove i loro vini hanno trovato spazio occupando parte della postazione riservata proprio alla cantina Cipresso, presso il Padiglione 9 della regione Toscana. Davide, Giulia e Costantino, in rappresentanza di tutta la squadra che a Pagliare anima il ristorante della Locanda sociale - progetto ideato e portato avanti dall’inossidabile duo formato da Roberta D’Emidio ed Emidio Mandozzi –, hanno avuto il loro bel da fare con bicchieri e bottiglie, intenti a presentare e a spiegare ai tanti avventori i vini da loro stessi prodotti, i quali hanno riscosso un ottimo successo anche di critica. Ragazzi che hanno potuto precedentemente beneficiare di una preparazione sul vino grazie a lezioni tenute presso la Locanda dal responsabile regionale e curatore della guida Slow Wine, Francesco Quercetti. Un progetto, quello della Locanda Centimetro zero, che nel corso dei sei anni dalla sua creazione ha inanellato una serie di successi e di soddisfazioni e che ora con la produzione di vino allarga ancor di più i propri orizzonti (oltre al ristorante, i ragazzi si occupano delle colture orticole, dei cereali e, da qualche tempo, anche di cioccolato), secondo i dettami culturali del “Buono, giusto e pulito”, termini coniati dal Slow Food e dal suo presidente Carlin Petrini. E dal sodalizio con un maestro del calibro di Roberto Cipresso non potranno che arrivare ulteriori soddisfazioni per tutti i ragazzi. Uno spumante Metodo Classico della cantina castoranese Cameli IreneNatale, tempo di regali e di pantagrueliche cene. Con gli immancabili “consigli per gli acquisti” enogastronomici. Ergo, da questo punto di vista è innegabile che, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un exploit del vino di qualità, ed in particolare degli spumanti (non solo champagne e/o prosecco, ma anche bollicine territoriali che non siano Franciacorta, TrentoDoc, Oltrepo’ Pavese o Alta Langa), che proprio in questa stagione vivono il loro momento migliore in fatto di vendite al consumo. In questo scenario un ruolo sempre più preminente si stanno ritagliando i produttori piceni, che proprio nelle “bollicine” (siano esse prodotte con il Metodo Charmat o Martinotti con rifermentazione in autoclave, sia con il Metodo Classico di rifermentazione in bottiglia) stanno puntando molto anche grazie all’estrema versatilità di uve a bacca bianca quali la passerina e, soprattutto, il pecorino, che ben si prestano ad essere spumantizzate. Ed è proprio su un Pecorino Metodo Classico prodotto dall’azienda Cameli Irene di Castorano che mi vorrei soffermare, ultimo nato della cantina, prodotto in sole 500 bottiglie ma destinato a crescere nei prossimi anni. Gailè, questo il nome dato, un metodo classico da uve pecorino in purezza annata 2017, che vede la luce dopo 18 mesi sui lieviti. Commercializzato da pochi giorni, prevedibilmente andrà esaurito nel giro di poche settimane. Anche perché trattasi di un ottimo spumante, che coniuga la qualità alla versatilità: un brut che ben si attaglia a rivestire molteplici ruoli, dall’aperitivo al tutto pasto. Ideale per accompagnare olive ascolane (ma anche il fritto ascolano in generale) così come adatto ai primi piatti della tradizione picena. Alla vista si presenta di un bel giallo paglierino con perlage fine e persistente (una frase fatta? Si, ma nel nostro caso quanto più calzante, con una miriade di piccole bolle che incessantemente risalgono dal fondo del bicchiere). Dal floreale bouquet olfattivo di acacia e ginestra, si caratterizza per il sentore di lieviti e di crosta di pane. In bocca è elegante, fragrante e ben lavorato nella sua spalla acida. Lunga la persistenza e gradevolmente sapida la chiusura, con il non basso residuo zuccherino che non ne inficia il gusto al palato. Non poco e non male per uno spumante alla sua prima uscita, che riunisce nello stesso sorso eleganza e freschezza, frutto e scorrevolezza. Un Brut che, per una bella cena tra amici, sarà in grado di regalare brio e spensieratezza, soprattutto in occasione di queste imminenti festività di fine 2019. La cantina castoranese, già sugli scudi grazie ad altri suoi vini legati al territorio, è operativa dal 2002 con Ozio, un Igt Marche Rosso da uve Montepulciano in purezza, cui si sono aggiunti nel tempo altri vini quali Milia (da uve Passerina), Gaico (Falerio Pecorino), Chiaroro da uve Pecorino macerato sulle bucce, ed i rossi Conte (un rosso piceno) e Paià (rosso piceno superiore), oltre al già citato Ozio, vino di punta dell’azienda e forse il più conosciuto dell’intera produzione. In attesa del Bordò, da uve definite come “biotipo storico appartenente alla famiglia dei Grenache” (che annovera anche il Cannonau sardo e lo spagnolo Alicante), un vitigno storico oggi riportato in auge e che fa parte della memoria contadina del territorio marchigiano e piceno in particolare. Se c’è una zona vitivinicola che non conosce stasi ma che, anzi, è sempre più proiettata verso il futuro, questa è senza dubbio quella afferente le colline Teramane e nello specifico il suo versante nord, ovvero quella fascia di terra che abbraccia i comuni di Controguerra, Colonnella, Torano Nuovo. Ed è proprio a Controguerra, in contrada San Giovanni, che da alcuni anni opera la famiglia Maurizi, da oltre cinquant’anni nel mondo vitivinicolo e che dal 2016 è sul mercato con i vini della propria cantina. Una piccola realtà ma molto effervescente, che oltre al vino produce anche olio, grano (dell’antica e oggi riscoperta varietà San Carlo, da cui viene poi prodotta un’ottima pasta secca) e legumi.
In vigna ed in cantina troviamo i due pilastri dell’azienda: papà Giuliano Maurizi – una vita spesa tra vigneti e cantine – ed il figlio Morgan, giovane enotecnico cresciuto all’ombra del professor Leonardo Seghetti, vera anima trascinatrice dell’Istituto Tecnico Agrario “C.Ulpiani” di Ascoli Piceno e grande esperto e conoscitore del territorio del “Marcuzzo” per tutto quanto concerne la vite e l’ulivo in particolare (a lui si deve, principalmente, la promozione dell’Oliva Tenera Ascolana che nel 2005 portò al riconoscimento della Dop). Circa dieci gli ettari vitati, alcuni di proprietà ed altri in gestione, tutti ubicati nell’agro del comune di Controguerra, impiantati a Montepulciano, Trebbiano, Passerina e Pecorino, ovvero i vitigni classici di questo lembo di territorio, tutti allevati a spalliera. La coltivazione della vite, grazie all'esperienza maturata, tende oggi sempre più a ridurre gli interventi con prodotti di sintesi, privilegiando le naturali caratteristiche culturali ed il rispetto della terra. In cantina moderne ed antiche pratiche convivono grazie ai componenti della famiglia, sempre pronti ad interpretare vecchie e nuove conoscenze nella produzione del vino, quali la forte riduzione degli ausiliari ed additivi enologici, partendo da un concetto fondamentale: "il vino si fa in vigna". Un assioma che poi ritroviamo anche in cantina, dove tra botti di cemento ed acciaio (e poco legno), i Maurizi danno vita a vini particolari nella loro affinità territoriale, tutti dotati di una beva eccezionale e mai stucchevole, dove ad ogni sorso ritrovi il sapore e le radici del territorio stesso. Vini identificabili all’istante, per una cantina che in nemmeno tre anni si è fatta conoscere anche al di fuori dei confini della regione grazie ad un incessante passa parola. E veniamo ai vini, degustati in una serata piovosa ma ricca di “humus” contadino fatto di allegria e tanta disponibilità proprie di un territorio che da sempre privilegia i (veri) rapporti umani. Ad una Passerina Controguerra Doc 2018, generosa e versatile nei suoi 12,5 gradi alcolici, di pronta beva e prodotta selezionando accuratamente i grappoli, è seguito un Trebbiano 2017 schietto e nitido sia al naso che in bocca e che darà il meglio di sé tra qualche anno. Succoso e dal sorso appagante il Cerasuolo 2018, da uve Montepulciano. Dal colore rosso ciliegia, con sentori dominanti di piccoli frutti rossi e cenni di liquirizia, al palato si rivela fresco, di buona sapidità, di buon corpo, piacevole equilibrio e con una gradazione importante: 13°. Uno dei migliori finora assaggiati di questa tipologia. Rosso rubino e con riflessi violacei, il Montepulciano 2017. Al naso si esprime con sentori dominanti di frutti rossi e decise note speziate. Al palato si rivela di corpo pieno, avvolgente, con un tannino ben integrato e una lunga persistenza. Fragrante ed appagante nella sua struttura importante, come si addice ad un bel Montepulciano. Ultimo vino degustato, ma non ultimo in quanto a sensazioni destate, uno spumante Metodo Classico ancora in nuce (a soli cinque mesi dalla presa di spuma), vendemmia 2018 raccolta in un blend di Passerina, Malvasia, Pecorino, Montonico (quest’ultimo un vitigno autoctono abruzzese in via di riscoperta) e con un saldo di Chardonnay. Un vino già quasi pronto, anche se vedrà la luce solo il prossimo anno, che si presenta al palato secco (sarà un Pas Dosè) e con il suo tipico vestito da festa: crosta di pane appena sfornato, fiori bianchi e frutta gialla. Tirato in sole duemila bottiglie, ne sentiremo sicuramente parlare. Perché si fa presto a dire spumante Metodo Classico, ma ci sono spumanti e spumanti… Al Vinitaly, Young to Young presenta tre cantine simbolo della vitalità del sistema vitivinicolo italiano Tre cantine per tre vini, alla base di una degustazione d’eccezione e un po’ fuori dai canoni abituali grazie all’iniziativa ideata e curata da Il Golosario di Paolo Massobrio in collaborazione con Vinitaly, giunta quest’anno alla sua quinta edizione. Una degustazione guidata con sapienza dallo stesso Massobrio, ben coadiuvato da Marco Gatti. Young to Young, ovvero da giovani (vignaioli) a giovani (wine blogger), in un mondo del vino che ha bisogno (eccome ne ha bisogno) di nuove spinte e nuovi stimoli, di iniezioni di coraggio e fiducia nel futuro, di aria fresca da respirare a pieni polmoni tra i filari come in cantina. Ed è quella che si respira assaggiando i tre vini in degustazione: Malvarosa 2016, un rosato da uve Magliocco di Tenute Pacelli, realtà vitivinicola ai piedi del Pollino in Calabria; Riserva degli Angeli, un Capriano del Colle Doc (da uve Marzemino 60%, Merlot 20%, Sangiovese 10% e Cabernet 10%) 2015 della Cantina Lazzari ubicata nella Bassa bresciana; Dolcetto di Diano d’Alba Superiore Garabe 2016 della piemontese Cantina Giovanni Abrigo. Inizio da quest’ultimo, un Dolcetto che rispecchia in toto il valore della terra di Langa. Del resto gli Abrigo, una famiglia che produce vino da cinquant’anni (oggi alla terza generazione), sono ben radicati nel territorio dal 1968, quando il fondatore Giovanni acquistò la Cascina dei Crava in quel di Diano d’Alba, dando vita alla cantina che, negli anni, ha sempre continuato ad essere gestita dalla famiglia, oggi guidata dai giovani nipoti Giulio e Sergio ben coadiuvati dal padre Giorgio. Un Dolcetto, si diceva, frutto di un assemblaggio di uve da vigne diverse, vinificate separatamente ed affinato in acciaio per qualche mese. Di un rosso rubino impenetrabile con sentori di ciliegia, questo Dolcetto al palato si presenta secco evidenziando una base tannica rotonda e delicata, con nel finale leggere note di mandorla amara. Buona la beva, con un’acidità ben presente che ne sostiene il sorso. Un vino da degustare con calma, magari davanti ad un bel focolare, amabilmente conversando con gli amici più cari. Riserva degli Angeli 2015, Capriano del Colle Doc: rosso vino di punta della cantina Lazzari, guidata dai giovani Davide e Giordano sotto l’occhio ancora vigile di nonno Fausto (classe 1932). Un vino di cui tutti gli appassionati dovrebbero avere minimo un paio di bottiglie in cantina, a dispetto di una Doc quasi sconosciuta. Ad una prima fase di maturazione in acciaio (5/6 mesi), il vino viene affinato in barrique e botte grande di rovere per poi riposare altri dodici mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. Dal colore rosso intenso con sentori di confetture, al palato si distinguono piccoli frutti rossi con note vanigliate proprie del legno unite a gradevoli note speziate. Un vino indubbiamente ben strutturato, sostenuto ma elegante con l’alta alcolicità che non ne inficia la beva grazie a tannini dolci e vellutati. Veramente un bel prodotto. L’azienda è a conduzione biologica. E’ il caso di dire che non è tutto Franciacorta in territorio bresciano. Ultimo ma non ultimo (anzi...) dell’odierna degustazione, Malvarosa 2016, un vino rosato da uve Magliocco prodotto dalle Tenute Pacelli in quel di Malvito (Cs), vino sul quale puntano molto mamma Clara e le figlie Carla e Laura, che gestiscono l’azienda insieme al padre Francesco. L’azienda era di proprietà dei Baroni La Costa sin dal 1700, ma è solo a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso che il Barone Gaetano La Costa decise di impiantare i primi vigneti, oggi di proprietà del nipote Francesco Pacelli, con la cantina (10 gli ettari vitati per una produzione annua di circa 40mila bottiglie) condotta in regime di agricoltura biologica. Malvarosa, un vino fresco e rotondo con sentori di frutti rossi (quasi un rosso...) che può accompagnare l’intero pasto. Dotato di struttura complessa, carico e non immediato ma molto piacevole (e detto da uno che non ha i rosati nelle sue corde vale ancor di più). Un bel vino, simbolo di una cantina emergente in una regione che deve ancora esprimersi al meglio dal lato vitivinicolo (dove non c'è solo Librandi, che per altro fa ottimi vini, e non vi è solo il Ciro’). Da dire che tutti e tre i vini presentati possono essere acquistati senza svenarsi economicamente (dai 10 ai 20 euro in enoteca). Un convinto plauso va agli organizzatori della kermesse, con Young to Young che mette a confronto giovani vignaioli con giovani wine blogger (nel mio caso è la classica eccezione che conferma la regola), (ri)dando al vino l’importanza che merita scevra da qualsivoglia pregiudizio e/o compromesso, come purtroppo sempre più spesso avviene ultimamente. Vinitaly è, per fortuna, anche questo. Chapeau! In foto: Laura (Tenute Pacelli), Giulio (Cantina Abrigo) e Davide (Cantina Lazzari)
Pomeriggio molto interessante, quello vissuto sabato scorso in quel di Controguerra (TE), con l’Enoteca Comunale al centro della terza edizione di “Abruzzo: terra di eccellenze enologiche. I grandi vini abruzzesi alla conquista del mondo”, premiazione delle aziende vitivinicole che hanno conquistato i “5 grappoli” nella guida Bibenda 2018, edita dalla Fis (Fondazione italiana sommelier). Condotto con mano sapiente dal deus ex machina Fabrizio Di Bonaventura, sommelier Fiduciario Fis delle Colline Teramane nonché assessore comunale che, negli anni, ha fatto del piccolo paese di Controguerra l’ombelico dell’Abruzzo enoico, l’appuntamento è stato all’altezza delle aspettative, e non solo per la stupenda degustazione seguita al convegno, guidato in tandem con il giornalista e sommelier Paolo Lauciani, oramai di casa in questo angolo d’Abruzzo, e concluso dall’intervento dell’assessore regionale all’Agricoltura, Dino Pepe. Molto interessante, infatti, il dibattito che ne è scaturito, che tra le altre tematiche ha avuto al centro la necessità di far (finalmente) uscire il Montepulciano d’Abruzzo, vino simbolo della regione adriatica, da quel limbo in cui è relegato a causa della nomea che, nonostante gli sforzi di tanti vitivinicoltori che producono eccellenze qualitative, vuole questo vino essere preda di grandi numeri prodotti da mega cooperative, le quali vendono a prezzi stracciati ad imbottigliatori di fuori regione con il risultato di snaturarne il contenuto. Con buona pace di quanti invece si sforzano di dare lustro ad un vino emblema di un territorio, che avrebbe tutte le carte in regola per fare da volano allo sviluppo economico dell’intera regione. Detto questo, passiamo alla degustazione: ben 33 le cantine presenti alla manifestazione, e 56 i vini in assaggio sui banchi di degustazione. Ovvio che, per ragioni di spazio, qui mi limiterò a riportare quelli che mi hanno maggiormente colpito, tra vecchie conferme e nuove sorprese, a rimarcare la vitalità del settore vitivinicolo abruzzese, che oggi può godere di nuova linfa apportata dalle seconde (ed in qualche caso terze) generazioni di vignaioli, arrivate al vertice delle cantine paterne. Iniziamo dai bianchi, dal fresco e profumato Pecorino, al più austero Trebbiano. Sugli scudi, il “Bianchi grilli per la testa” 2015 di Torre dei Beati, espressivo e territoriale, vinificato e affinato in acciaio per 9 mesi. Sentori fruttati, floreali e delicatamente balsamici con una trama aromatica calda, di buona struttura e persistenza. Molto buono anche il Pecorino Doc 2016 di Tenuta I Fauri che, sebbene non rientri tra i premiati con 5 grappoli, ha dalla sua un colore brillante, luminoso e intenso, con profumi ricchi, puliti e profondi. Al gusto mostra opulenza ma non pesantezza, grazie alla sua freschezza e sapidità. Sempre ottimo il Trebbiano Vigna del Convento 2015 di Valle Reale, ultimo “cru” in ordine di tempo, prodotto da Leonardo Pizzolo in quel di Popoli. Un vino a fermentazione spontanea ed affinato in acciaio sui lieviti per 18 mesi. Dal colore dorato appena velato, con profumi che vanno dal marzapane alle erbe aromatiche al fiore di cappero; pieno e freschissimo al palato, sorretto da una bella vena acida, con il gusto che racchiude in sé un frutto quasi tardivo. E passiamo ai rossi. Conferme per il Montepulciano Colline Teramane Riserva Fonte Cupa 2010 di Camillo Montori; sempre ottimo il Binomio 2013 de La Valentina, un Montepulciano materico, alcolico (15°), dal colore rosso rubino scuro, naso molto intenso di concentrato di fragoline di bosco, mora, altri frutti rossi selvatici e spezie. Al palato si presenta potente, di spessore con un tannino maturo e importante ma in grande equilibrio generale. Chiude senza spigoli, fresco e con notevole persistenza aromatica. Buono e senza sorprese anche il Pieluni riserva 2011 Montepulciano Colline Teramane di Illuminati, mentre senza particolare enfasi mi è sembrato il Villa Gemma 2012 di Masciarelli. Conferme, piene e convincenti, vengono poi dal Mazzamurello 2014 di Torre dei Beati, dal San Clemente 2014 di Zaccagnini, così come anche dal Montepulciano Riserva 2012 di Praesidium. In ultima analisi due sorprese, almeno per me: il Montepulciano Colline Teramane Riserva Neromoro 2013 di Alessandro Nicodemi, e Inkiostro, merlot in purezza di Luigi Valori. Il Neromoro, prima annata prodotta la 2011, è ottenuto da uve montepulciano raccolte su un appezzamento con vigneti vecchi di quarant’anni. La posizione dei filari, esposti soprattutto a est, consente una perfetta ventilazione e una altrettanto buona escursione termica. Dopo la macerazione e la fermentazione il vino riposa in barriques selezionate per 16 mesi. Completa il suo percorso affinando in bottiglia per altri sei mesi. Dal colore rosso rubino impenetrabile, al naso risulta intenso con sentori fruttati di prugna rossa matura, erbe aromatiche, cioccolato fondente e cacao, con una leggera percezione di tabacco. In degustazione è caldo e sapido, con tannini importanti ed ottima persistenza. Elegante e perfettamente equilibrato. Insomma, un vino che mi è piaciuto molto. La vera, grande sorpresa è stata invece assaggiare un merlot in purezza, uvaggio difficile (soprattutto in queste terre) e dalle basse rese. Parlo di Inkiostro, un Igt Colli Aprutini annata 2013, etichetta principe di quel grande innamorato della terra e dell’uva che corrisponde al nome di Luigi Valori. Da un ettaro e mezzo di vigneto (a conduzione biologica) di 18 anni di età si ricavano circa 3 mila bottiglie, per una resa di circa 65 q.li/ettaro. Inkiostro fermenta in vasche di acciaio termocondizionate, con le uve lasciate in macerazione dai 20 ai 30 giorni. Affinamento di 12 mesi in barriques nuove ed altri 12 in bottiglia. Un vino di grande invecchiamento. Un grande Merlot. Colore rosso rubino, al naso si avvertono sentori di macchia mediterranea, marasca sottospirito, goudron e tamarindo, mentre in bocca si rivela caldo e sapido con una trama tannica molto fine, morbida ed equilibrata, su cui prevalgono note di liquirizia. In conclusione, bella l’iniziativa, buoni i vini presentati, folta e ben rappresentata la cornice di pubblico. Chapeau!
Franciacorta, Trentodoc, Oltrepo’ Pavese, Alta Langa. Se uno pensa che i migliori spumanti italiani Metodo Classico provengono solo da queste zone altamente vocate, sbaglia di grosso. Perché se è vero che la bollicina Made in Italy ha come riferimento queste quattro zone, è altresì vero che buoni, anzi ottimi spumanti Metodo Classico si possono trovare anche in altre parti d’Italia. Anche a Modena, patria del Lambrusco. Per la precisione a Bomporto, località della Bassa modenese, dove la cultura spumantistica è in auge da sempre grazie alla famiglia Bellei ed al suo patriarca, Francesco. Oggi invece vorrei occuparmi di un altro Bellei, Christian (Francesco Bellei era il suo bisnonno), e della sua Cantina della Volta, nata nel 2010 e creata insieme ad un gruppo di amici. Diverse le etichette prodotte, con l’indubbio merito di aver sdoganato il Lambrusco affrancandolo dal luogo comune che lo vuole un “vinello” senza tante pretese, mentre invece spumantizzato è un’ottima bollicina. Ma non è del “Trentasei” Lambrusco di Modena che vorrei parlarvi, bensi de “Il Mattaglio” nella tipologia Dosaggio Zero, un blend composto dal 60% di Pinot nero e dal 40% restante di Chardonnay. Questo vino prende il nome dall’appezzamento di terreno dove è ubicato il vigneto, zona collinare di Riccò di Serramazzoni (prime propaggini dell’Appennino Modenese) a 650 metri di altitudine, ma anche da un arbusto che produce bacche rosse allucinogene, capaci, secondo la leggenda, di “farti diventare matto” (da qui il nome). Ho avuto modo di assaggiarlo nel corso di una minidegustazione in occasione di una mia visita in cantina (a tale proposito debbo ringraziare Angela Sini, socia della cantina e responsabile del marketing, per la disponibilità e gentilezza mostrate), dove ho praticamente assaggiato tutta la batteria dei vini spumantizzati, stando comodamente seduto nella bella sala degustazione della cantina. Dal colore giallo paglierino, con perlage continuo e molto fine, Il Mattaglio Dosaggio Zero mostra eleganti profumi dalle sfumature di fiori di campo e frutta a polpa bianca; al gusto si presenta fresco, asciutto, minerale e salino. Un vino che matura per almeno 24 mesi sui lieviti, che gli conferiscono struttura e complessità anche grazie ad una buona percentuale di Pinot nero. La chiusura è di gran classe, con ottima persistenza. Uno spumante di piacevolissima "beva", ideale per accompagnare tutto il pasto ed in particolare piatti di pesce, ivi compresi sushi e sashimi. Pagato, in cantina, 20 euro. Permettetemi infine un’ultima, piccola digressione, che poi tanto digressione non è visto che trattasi sempre di vino. Ho avuto l’onore di assaggiare anche il “Ddr” 2009, acronimo di “Degorgiatura dosaggio recente”, un Metodo Classico da uve Lambrusco con ben 84 mesi sui lieviti ed una percentuale alcolica pari a 13,8 gradi. Semplicemente sorprendente. Spumante di eccellenza di Cantina della Volta, tenuto a battesimo lo scorso mese di ottobre dal grande chef Massimo Bottura (che lo ha abbinato ad una lingua di vitello laccata). I vini di Christian Bellei hanno anche stregato quel gran conoscitore del nettare di bacco che corrisponde al nome di Giorgio Pinchiorri, con Cantina della Volta che è entrata oramai in pianta stabile nella carta dei vini dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze, una delle massime espressioni enogastronomiche d’Italia.
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PIERO LUCIANIGiornalista pubblicista appassionato di vini, in particolare bollicine. Amo bere bene in compagnia possibilmente al cospetto di una buona tavola. Archivi
Maggio 2023
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